Dott.ssa
Carla Merola D’Elia
Psicologa
Psicoterapeuta
Dott.ssa Carla Merola D’Elia
Psicologa Psicoterapeuta

Perché entro sempre in relazioni patologiche?!?!

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Indice

“E ti odio di più
Perché alle altre tu
Tu non hai dato mai
I giorni tristi e bui
Quelle certo che no
Non correvano qui
A consolare te
Ma io stupida sì…

…Ma questa volta no
Non cederò perchè
È quasi dolce sai
Poter gridare che
Nessuno al mondo mai
Ti odierà più di me
Sto per farlo però
Ti svegli al tuo richiamo
Rispondo sono qui
Amore mio ti amo…“

(Mina “Bugiardo e incosciente“)

Questa canzone parla del dolore, della rabbia, dell’impotenza di una donna di fronte ad un amore in cui si sente incastrata e soggiogata ma di cui non sa fare a meno. Rompere sarebbe come morire. Non è neanche lontanamente pensabile.

Quante volte ci si incastra in questo tipo di relazioni.

Quante volte si sente dire “incontro sempre lo stesso tipo di uomo”, quell’uomo che dona solo poche briciole a cui ci si aggrappa disperatamente.

Si è donne/uomini e ancor prima figlia/figlio e da qui si origina la capacità o la difficoltà di entrare da adulti in una relazione sana con l’altro.

Il disperato bisogno di essere vista e amata: “se sarò brava l’altro mi amerà”.

Questa donna da adulta non smetterà mai di cercare ciò di cui ha bisogno perché la bambina che è in lei, non si rassegnerà a ciò che non ha avuto affettivamente.

Da piccolina è stata la “bambina wall-flower” (carta da parati) non vista da una famiglia con tanti problemi, definita da tutti “brava”, indipendente, sempre attenta al bisogno altrui, capacissima di sintonizzarsi sul mondo emotivo altrui ma non altrettanto capace di mettersi in ascolto del suo mondo emotivo: da adulta faticherà nel dire chi è, cosa vuole, cosa le piace, chi vorrebbe essere, in che direzione vorrebbe andare, cosa vorrebbe per se stessa.

La precedenza all’altro deriva dalla paura di perdere l’altro, di essere abbandonata perché sin da piccola ha fatto esperienza dell’altro come fragile, bisognoso e per questo imprevedibile nella sua presenza genitoriale, oppure dell’altro come intrusivo e controllante, ha così imparato che è importante essere invisibili e non dare fastidio per non perdere la vicinanza con l’altro.

I caregiver, quindi, spesso non con cattiveria o non volutamente ma il più delle volte perché a loro volta figli di fatiche genitoriali, non riescono a vedere la propria figlia, non riescono a rispecchiarla nei loro occhi, non si preoccupano dei suoi bisogni emotivi perché sono dentro alle loro svariate difficoltà.

In tale cornice la figlia crescerà nello sguardo di un genitore ferito e si prenderà il compito di accudirlo “se mi dedico a lui /lei, l’altro potrà prendersi cura di me” così facendo diventa genitore del suo genitore e ciò porrà le basi per rivestire da adulta un ruolo da salvatrice nelle relazioni affettive.

L’identikit genitoriale raccolto in letteratura sembra riportare frequentemente una madre non realizzata, insoddisfatta e infelice del suo rapporto coniugale, dove la figlia diviene la sua confidente, dando come messaggio sottostante che nonostante tutto non si può andare via e così facendo non protegge la figlia ma la adultizza (generalmente è stata a sua volta figlia adultizzata).

La bambina impara ad ascoltare, consolare, si comporta da brava bambina pensando ai bisogni della madre, sperando di renderla felice ed orgogliosa di lei e impara così a leggere i bisogni altrui ma profondamente sperimenta un grande senso di solitudine perché non vive in un legame fatto di scambio.

Non viene vista.

Il padre è generalmente un genitore “ombra” emotivamente distante, spesso è una figura instabile, aggressiva e abusante (a sua volta è stato un figlio carente nell’affetto genitoriale).

La bambina avrà come primo uomo di riferimento, un uomo freddo e distante svilupperà un senso di abilità nel capirlo e calmarlo, saprà leggere i pensieri degli uomini ma non i suoi.

Da grande cercherà l’uomo svalutante e distanziante di cui ha fatto esperienza, sentirà di poter salvare uomini distrutti e spesso utilizzerà la sottomissione come strategia per tenere a sé la persona amata.

Verrà guidata dall’illusione “mi prenderò cura di te e ti salverò così tu ti prenderai cura di me e mi amerai”.

L’altro le è indispensabile perché lei riesce a sentirsi solo quando è all’interno di una relazione.

La relazione è riempitiva di un vuoto che porta dentro sin dall’infanzia per aver vissuto un attaccamento fatto di un amore distratto, intermittente ed imprevedibile, apprendendo così che l’amore non è certo, che bisogna meritarselo e che bisogna saper aspettare, aspettare, aspettare e continuando ad essere brava e poi brava e ancora brava, per avere briciole di attenzione: ha imparato che se sarà brava l’altro l’amerà.

Si sono create le basi di una forma patologica d’amore: la dipendenza affettiva.

L’incontro con il partner: un antidoto magico per non sentire il vuoto primordiale infantile

La persona che soffre di una dipendenza affettiva spesso non sa stare da sola e per questo tende a passare da una relazione ad un’altra.

L’altro diviene l’unico regolatore del proprio sé, riempie il suo essere laddove il rovescio della medaglia sarebbe l’esperienza di una solitudine angosciante e intollerabile, l’altro è una stampella per camminare nella vita.

Senza l’altro, la persona dipendente affettiva, si sente svuotata ed incapace di affrontare l’esistenza e per questo tende a sacrificare tutta se stessa per soddisfare i bisogni dell’altro, arrivando anche a sottomettersi.

I partner scelti sono generalmente problematici, persone di cui prendersi cura perché questo è il suo copione affettivo imparato con i propri genitori: l’amore è sofferenza.

Una cosa è certa: i partner equilibrati sono “noiosi”, sono attratti da persone difficili, il “volume” deve essere sempre alto altrimenti non sentono emotivamente.

Faticano a ricevere amore e soprattutto a riconoscerlo ma scambiano la fusionalità, la conquista e il salvare l’altro, per amore.

L’amore corrisposto non lo si sente mai abbastanza, la persona dipendente affettiva è vorace perché dentro di sé è come se fosse un colabrodo che non riesce a trattenere: più riempie e più ha bisogno di riempire per sentire.

Chi è il partner di una dipendente affettiva?

Le tre tipologie di partner di una persona dipendente affettiva:

1) Co-dipendente affettivo

Il partner scelto è a sua volta un dipendente patologico (tossicomane, alcolista, giocatore d’azzardo…) con cui la dipendente affettiva potrà esperire la sua necessità di accudire l’altro ed insieme trovarsi perché ognuno risponderà ai bisogni rimasti affamati dall’infanzia; la fusionalità nel viversi gli permetterà di vivere lontano dalle sofferenze passate e presenti e potrà anestetizzare tutto il dolore vissuto tra i drammi familiari.

A lungo andare l’illusione di aver trovato l’isola felice si trasformerà in una relazione esasperante da cui però faranno fatica ad uscire perché entrambi hanno riempito il loro vuoto arcaico con la presenza dell’altro, lasciarsi condurrebbe ad uno svuotamento psichico devastante.

2) Narcisista

Il partner scelto è stato un bambino rifiutato, con dei genitori emotivamente evitanti che negano l’intimità, non permettono al bambino di entrare in un vero scambio relazionale ma questo, si baserà più sull’ammirazione del figlio che sul riconoscimento di tutto il suo essere fino ad arrivare a sconfermarlo quando mostrerà fragilità e tenerezza ed il dolore per il bambino sarà così grande che imparerà a difendersi reprimendo il proprio bisogno affettivo.

Il suo bisogno di essere visti, venuto meno, si trasforma in età adulta nel bisogno di ammirazione e riconoscimento, è alla ricerca continua di chi o di cosa può fargli vivere il suo essere superiore agli altri.

Chi meglio di una dipendente affettiva può svolgere tale arduo compito?
Lei per il suo vissuto ha imparato che amare significa mettersi da parte e dedicarsi all’altro, attivando anche i meccanismi della sottomissione per tenere l’altro a sè.

Il narcisista nella prima fase del rapporto riesce a nutrire il bisogno di essere vista della dipendente affettiva donandole attenzioni, anche taaaante attenzioni ma che progressivamente andrà a ridimensionare, questo la porterà a spendersi anima e corpo nella relazione, cercando di essere il più possibile aderente a “come lui mi vuole”, accettando anche critiche o svalutazioni.

La dipendente affettiva riattiverà il suo schema ben conosciuto da bambina “se sarò brava l’altro mi amerà” e farà di tutto per giungere a questo obiettivo ma il mancato riconoscimento del partner la porterà ad incolparsi per l’insoddisfazione del partner mettendosi in discussione e indebolendo progressivamente la sua autostima.
A questo punto il narcisista ha il pieno controllo emotivo della sua partner.

3) Uomo impegnato

È solitamente un uomo sposato che ha bisogno di eludere le fatiche di un matrimonio, cercando distrazione da una vita routinaria fatta anche di conflitti.

La dipendente affettiva si incastra bene in questa relazione perché abituata ad accontentarsi di poche briciole di amore, l’amore lo ha sempre vissuto in maniera tormentata come un premio che deve guadagnarsi.

Vive nell’illusione che verrà scelta per averlo salvato da un rapporto finito e da una vita ormai spenta.

Riesce a vivere anni in una vita sospesa rimanendo sempre disponibile anche per un fugace incontro rinunciando gradualmente alla sua vita: non esce più, non prende impegni, non si incontra più con le amiche per paura del giudizio.

Diventa una funambola sospesa tra il vuoto della sua solitudine e la speranza di essere scelta.

(Mi preme sottolineare che la dipendenza affettiva non è esclusivamente appannaggio del mondo femminile solo per narrazione ho ritratto la dipendente affettiva di sesso femminile ma è riscontrabile anche nel genere maschile).

Senti di esserti ritrovata in questi amori tormentati e impossibili? Senti che stai vivendo una situazione tossica?

Se sei anche tu di Monza e cerchi uno psicologo a Monza perché senti di aver bisogno di aiuto per aprirti a modalità relazionali più sane ed equilibrate non esitare a contattarmi per avere delle informazioni o per prendere un appuntamento.

Richiedi un consulto.

Dott.ssa Carla Merola D’Elia

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