Dott.ssa
Carla Merola D’Elia
Psicologa
Psicoterapeuta
Dott.ssa Carla Merola D’Elia
Psicologa Psicoterapeuta

FAQ Bambini

La psicoterapia individuale per bambini ha una tariffa base di 80 euro e la seduta ha una durata variabile tra i 45-60 minuti. La periodicità è settimanale ma verso la fine della terapia quando la persona si sentirà meglio la frequenza può essere diradata nel tempo fino a giungere alla conclusione.

Tutte le sedute vengono fatturate. Le fatture sono detraibili fiscalmente come prestazioni sanitarie.

Dal 2018 il D. lgs 3/2018 ha ufficialmente riconosciuto lo psicologo un Professionista Sanitario, rendendo così le prestazioni psicologiche deducibili ai fini IRPEF.
Per poter usufruire della detraibilità il pagamento deve essere tracciabile (bonifico bancario, POS, PayPal), eliminando la possibilità di detrarre laddove il pagamento si effettui in contanti.

Il terapeuta trasmette al Sistema Tessera Sanitaria, ovvero all’Agenzia delle Entrate, le fatture così che il paziente in automatico le ritroverà nella propria dichiarazione dei redditi.

La detrazione fiscale permette quindi di recuperare parte di ciò che è stato investito nel proprio benessere psicofisico.

Trovo molto corretto poter valutare che lo psicologo a cui voglio rivolgermi rientra tra i professionisti appartenenti all’Ordine degli psicologi.

Eseguire questo controllo è molto semplice: è sufficiente cliccare al seguente link e inserire il nominativo della persona.

Lo psicologo, come da Codice Deontologico degli Psicologi Italiani, è strettamente tenuto al Segreto Professionale (art. 11-17 del Codice), derogabile solo previo valido e dimostrabile consenso del paziente o per ordine dell’Autorità Giudiziaria o qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del paziente e/o di terzi.

No, il primo colloquio non è gratuito.

Il primo colloquio si effettua con i genitori ed è spesso il colloquio più impegnativo ed importante, in quanto è il momento in cui si delinea la storia di vita del bambino e la storia del sintomo, inserito nel suo contesto familiare, dalla sua comparsa alla sua evoluzione.

È il momento in cui ci si conosce, è il momento in cui il genitore si presenta con il proprio mondo emotivo fatto spesso di impotenza, frustrazione, sensi di colpa, rabbia, tristezza per non riuscire ad aiutare il proprio figlio, in cui si comprende che lo scopo non è di trovare un colpevole ma di prendersi la responsabilità di entrare in gioco nella terapia per andare verso un cambiamento più funzionale allo star bene, si pongono le basi per un rapporto di fiducia basato sulla cooperazione per tutta la durata del percorso di terapia.

Spero che sia riuscita a farti arrivare le motivazioni per cui il primo colloquio non ha un accesso gratuito e ti ringrazio per la fiducia che riporrai nel decidere di fare comunque questo primo colloquio.

Quando un genitore si pone questo tipo di domanda significa che sta già vivendo una difficoltà con il proprio figlio, come sintomi d’ansia, alterazioni del tono dell’umore, disturbi del sonno, sintomi ossessivi, enuresi e/ o encopresi, problemi scolastici, problemi oppositivi, problemi della condotta e così via.

Ma, c’è un MA da non sottovalutare.

Nel corso della crescita, ci possono essere fasi di passaggio vissute come faticose sia dai bambini/ragazzi che dai genitore ma ciò non significa che istantaneamente si debba pensare di avviare una terapia.

Non è sempre facile individuare se i sintomi manifestati rientrano tra quegli atteggiamenti riconducibile ad una tappa di sviluppo o se è il caso realmente di rivolgersi ad uno psicologo infantile.

Come fare allora a capire che è il momento di rivolgermi ad uno psicologo?

  • In primis il tempo: da quanto tempo si presentano questi comportamenti?
    È importante prendersi del giusto tempo per capire se è solo una difficoltà di adattamento passeggera, magari a nuove situazioni (cambio casa/ scuola, nascita di un fratellino…) o se invece è evidente una certa stabilità dei sintomi.

    Quando i sintomi permangono stabilmente in un intervallo di tempo tra le 6-8 settimane può essere utile consultare uno psicologo per capire insieme se intervenire e cosa fare.

    Una volta compresa la situazione, si può pensare ad un percorso di sostegno genitoriale, così come ad un intervento di psicodiagnosi, così come ad una vera e propria psicoterapia.

  • In secundis: quanto la sintomatologia interferisce con la vita quotidiana?
    Quando i sintomi manifestati destabilizzano la routine del bambino/ragazzo allora può essere utile rivolgersi ad un professionista per comprendere la natura del disagio vissuto.

Assolutamente non è possibile.
Entrambi i genitori esercenti la responsabilità genitoriale sono tenuti a sottoscrivere il consenso informato al trattamento psicologico a cui verrà sottoposto il figlio minorenne.

Lo stesso vale anche in caso di separazione con affido congiunto, anche nel caso di affidamento esclusivo il genitore non affidatario deve essere informato della prestazione medica a cui il figlio verrà sottoposto e prestare il proprio consenso.
Diverso è il caso di affidamento “super esclusivo” in cui il giudice autorizza il genitore ad esercitare ogni potere decisionale nell’interesse del minore a prescindere dal consenso dell’altro.

Quando incontro i genitori questa è la domanda che più mi rivolgono.
Spesso racchiude quella paura data dal più grande dei pregiudizi sociali che ci portiamo dietro in modo intergenerazionale “Lo psicologo è per i matti”.
Poi ci sono le preoccupazioni relative al disagio che si pensa possa vivere il proprio figlio andando in terapia.
Spesso la preoccupazione è relativa al doverlo convincere a venire “non vorrà venire, come facciamo?”

Può essere utile pensare metaforicamente alla terapia come ad una visita medica qualunque, ovvero, se nostro figlio cade e si fa male ad un polso inizialmente interverremo aiutandolo nel mettergli un unguento e nel fasciargli il polso ma se il dolore persiste e la situazione peggiora la nuova scelta è quella di richiedere l’intervento di uno specialista in questo caso l’ortopedico.
Allo stesso modo quando da genitore mi accorgo di essere intervenuto sul disagio per come potevo ma nonostante ciò la fatica permane allora interverrò chiedendo l’intervento dello specialista che in questo caso è lo psicologo.

La scelta di intraprendere un percorso terapeutico nasce quindi dal loro volergli bene, scegliendo per il loro bene.

Inoltre può essere utile riportare la propria impressione relativa al terapeuta e al posto, questo può permettere al bambino/ragazzo di sintonizzarsi con la serenità genitoriale del loro racconto.

Si può infine comunicare la necessità da genitore di essere aiutato a capire la difficoltà che il proprio figlio sta vivendo, per capire cosa possono a loro volta possono fare per aiutarlo.

La psicoterapia per bambini ha le sue peculiarità rispetto alla psicoterapia per adolescenti e alla psicoterapia per adulti.

Il primo incontro si svolge solo con i genitori per raccogliere la storia di vita del bambino oltre a comprendere il motivo che lo conduce ad un consulto psicologico.

Successivamente si incontra il bambino e quando necessario si effettua una valutazione psicodiagnostica in cinque/sei incontri, terminati i quali, si effettua un incontro di restituzione con i genitori nel quale si espone quanto emerso e in base a ciò, si decide se e in che termini proseguire il percorso.

Nel caso in cui si decida di intraprendere un percorso di terapia, per raggiungere il bambino nella sua essenza, il terapeuta si avvale di alcune tecniche di intervento molto creative ed espressive quali: il gioco, il disegno, la pittura, la manipolazione del didò/ pasta di sale/ argilla, il gioco di ruolo, i pupazzi, le marionette, il racconto di storie, tutti questi, sono un pertugio per affacciarsi nel mondo del bambino e permettergli di dare voce al suo mondo interiore.

Talvolta questo lavoro viene considerato come “solo un gioco” ma esso rappresenta la strada maestra per giungere a comprendere il bambino ed aiutarlo a superare le sue difficoltà e tornare così sul suo sentiero verso una crescita appagante in cui essere capaci di: conoscere ed esprimere le proprie emozioni, sviluppare un senso di sé forte, imparare a gestire lo stress.

Dopo aver effettuato la valutazione psicologica (circa 6- 8 incontri) laddove con i genitori si decida che è importante lavorare sul problema che si è evidenziato, inizia la fase di terapia che non ha un tempo identificabile a priori come per la prima fase di valutazione.
Sono molte le variabili che incidono sulla durata della terapia, come l’intensità della sintomatologia, la motivazione del bambino/ragazzo e dei genitori, le risorse personali e quelle esterne…

Posso però affermare che quanto più la terapia viene vissuta come un gioco di squadra in cui ognuno ha il suo ruolo (genitori- bambino-terapeuta e laddove necessario la scuola) nel superamento del problema e quanto più ci si mette in gioco nel cambiamento, nell’ottica che non solo il bambino entra in terapia ma anche i genitori, in quanto non si può cambiare senza che tutti si impegnino a cambiare, tanto più la terapia diventa efficace ed i tempi ridotti.

Si dimostra molto utile un sostegno alla genitorialità per qualunque problema si stia vivendo con il proprio figlio.

Un sostegno alla genitorialità, anche detto parent training, diventa ancora più utile quando i bambini sono molto piccoli (prima infanzia 12- 24 mesi e seconda infanzia 2- 6 anni) e mostrano un disagio spesso difficile da comprendere per i genitori.

Allo stesso modo è altrettanto utile, in modo diverso, quando ci troviamo con figli della fascia della terza infanzia, così come della pubertà e dell’adolescenza.

Il parent training permette ai genitori di mettersi in discussione in uno spirito costruttivo e cooperativo, analizzando cosa fino ad ora si è fatto di fronte al problema, cercando di comprendere quali comportamenti sono risultati essere funzionali e pertanto mantenerli come risorsa nelle interazioni genitori- figlio e quali comportamenti non sono risultati essere efficaci così da individuare dei nuovi comportamenti, nell’ottica che se produco sempre lo stesso comportamento produrrò generalmente la stessa risposta.

Questo permette ai genitori di aiutare loro stessi nel modo di porsi con loro figlio, ripulendo il proprio campo emotivo dai sensi di colpa, dal senso di impotenza e dall’inadeguatezza da cui spesso ci si sente sopraffatti e che contribuiscono all’ingigantirsi del problema stesso.

Questo passaggio di consapevolezza comportamentale ed emotiva genitoriale, permette di conseguenza di aiutare proprio figlio nel superamento del problema, con grande giovamento della relazione genitori-figli, riportando quella graduale quiete familiare che spesso si viene a perdere dinanzi alla comparsa delle difficoltà.