Compassione o “cazzimma”?
Quando sbagli ti critichi?
Ti preoccupi del giudizio altrui?
Ti sembra di ruminare sugli errori?
Hai la tendenza di vivere preoccupandoti?
Vogliamo trovare allora un nuovo modo di trattare te stesso e gli altri nei momenti di difficoltà/sofferenza? Vuoi cambiare la tua vita?
Per far ciò non dovremo vendere l’anima al diavolo, non dovremo aspettare la prossima vita per essere qualcun altro MA possiamo imparare a sviluppare il nostro lato compassionevole.
Cosa significa veramente?
Significa che la vita può essere difficile, può generare sofferenza legata alla famiglia, al lavoro, alle relazioni piuttosto che al passato che si è vissuto o per ciò che osserviamo attorno a noi come guerre, carestie, disastri naturali o povertà.
Ma significa che posso imparare a rispondere a questa sofferenza, invece che con un atteggiamento spaventato, ostile, critico o anche ignorando, evitando, allontanando, con il mio sé compassionevole, ovvero comprensivo, in ascolto, accogliente, protettivo, curioso, saggio, solido.
Il Dalai Lama ci ricorda come “Una mente calma, non in balia delle emozioni distruttive, ci permette di investigare meglio la realtà, donandoci la pace interiore”.
Per molti la compassione è da evitare quanto la peste perché la si scambia per debolezza, per accondiscendenza, per buonismo a volte la si confonde con la pietà; quando la nomino con i giovani la associano ad una persona senza “cazzimma” (nel gergo giovanile napoletano, identifica una persona con una forte personalità, decisa, risoluta, sicura di sé).
Sorpresa, sorpresa: la compassione è cazzimma!
Mahatma Gandhi, Nelson Mandela, Madre Teresa di Calcutta, Dalai Lama: tutti illustri personaggi che non definiremmo mai deboli, eppure hanno fatto della compassione la loro bussola di vita: si sono fatti direzionare dalla compassione piuttosto che dalla paura, dalla rabbia, dall’odio, dalla vergogna, dall’autocritica o dal disprezzo per sé.
Impariamo allora ad essere capitani della nostra nave!
Troppo spesso siamo inconsapevoli delle direzioni che prende la nostra mente, non siamo consapevoli di cosa stiamo pensando e di come stiamo in tal modo, direzionando il nostro sentire ed il nostro comportamento.
Impariamo allora in primis a riconoscere:
“cosa stiamo pensando?” (A)
“questo pensiero che emozione ci suscita?” (B)
“dove questo pensiero e queste emozioni ci dirigono?” (C)
Facciamo un esempio pratico:
“Oggi sicuramente farò un casino alla presentazione/all’interrogazione, le persone mi faranno molte domande ed io non saprò rispondere. E se poi mi bloccassi? E se gli altri mi facessero domande a cui non so rispondere?” (A) questo pensiero mi determinerà molta tensione e ansia (B), allora potrò decidere che rimanere a casa fingendo di essere malata può essere la soluzione migliore (C) seguendo le emozioni dell’ansia e dell’evitamento e per tutto ciò, arriverò a criticarmi duramente “sono patetica e debole rispetto agli altri, è soltanto colpa mia, se solo mi fossi impegnata di più” arrivando a nutrire rabbia e disprezzo nei miei confronti.
Questo è l’esempio di come la nostra mente sia causa della nostra sofferenza. Si rimane incastrati in pensieri e sensazioni che spesso bloccano anche l’azione.
Come la compassione può tornarci utile?
Imparando a capire come e perché soffriamo, trovando un modo di affrontare gli aspetti dolorosi/difficili della vita piuttosto che ignorarli, combatterli o respingerli.
Allora, invece che incolparci e darci addosso “sono patetica e debole rispetto agli altri, è soltanto colpa mia, se solo mi fossi impegnata di più” sarebbe più utile vedere le cose da un’angolazione diversa.
Una mente compassionevole come si parla?
Non ci scegliamo noi i pensieri o le emozioni ma noi possiamo imparare ad osservarli e soprattutto possiamo imparare a non rimanere intrappolati in essi.
Non ci scegliamo noi il nostro corpo, il nostro cervello o la predisposizione all’ansia o alle ossessioni.
Non clicco volontariamente sul bottone della depressione ma è stato inevitabile nel mio percorso di vita per le esperienze fatte.
Non è quindi colpa mia ma è mia responsabilità fare qualcosa!!!
È mia responsabilità ascoltare in modo compassionevole e non criticare, cosa mi sta dicendo la mia sofferenza, il mio dolore?!?!?
In relazione all’esempio riportato, sarà importante imparare ad ascoltare ed accogliere la parte di me ansiosa, spaventata perché ha bisogno di essere aiutata, in primis da me stessa, ha bisogno di avere il suo spazio per esprimersi, per ricevere una coccola, una pacca sulla spalla, ha bisogno di essere accettata tra tutte quelle parti ammesse per farmi essere chi sono, non vuole stare nel reparto “appestati, svalutati, criticati”.
Se la tua sofferenza potesse parlare cosa ti direbbe?
Che messaggio vorrebbe farti arrivare?
Ascoltala! Ascoltala! Ascoltala!
E questo non significa dirmi “povera me misera” e basta, stando ferma, inerme e non occupandomi di me ma significa ascoltare e accettare il mio dolore cercando di capire di cosa ha bisogno e solo così potrò direzionare le mie azioni, la mia vita, le mie scelte connettendomi con chi sono e cosa voglio.
Spesso ci vuole un atto di coraggio deliberato per porre fine alla sofferenza!
Sarà quindi un cambiamento compassionevole: l’imparare a trattarci in modo più amichevole, gentile, premuroso e comprensivo, che potrà modificare la versione attuale che abbiamo di noi stessi.
Carl Jung diceva “lungo il sentiero della vita continuiamo a incontrare noi stessi sotto mille travestimenti”.
Siamo solo delle versioni potenzialmente infinite di noi stessi: se avessimo fatto delle esperienze differenti nel passato probabilmente saremmo persone diverse.
Non possiamo cambiare il passato ma possiamo però creare delle nuove versioni di noi stessi ed un modo è proprio quello di sviluppare una mente compassionevole.
Proviamo quindi a trattare noi stessi come tratteremmo un bambino o un amico.
Le ricerche neurobiologiche, dei neuroni a specchio, inserite nella Compassion Focus Therapy (CFT) e nell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), indicano che i comportamenti compassionevoli attivano i “centri del piacere” del cervello sviluppando ossitocina e dopamina, determinando una diminuzione dell’ansia e del rimuginio, aumentando la percezione della felicità, dell’ottimismo e del benessere nonché migliorando l’immagine di sé, ciò è associato anche ad un atteggiamento meno procrastinante e ad un’assunzione maggiore di responsabilità dei propri errori.
La compassione ci porta a connetterci con noi stessi, con la nostra sofferenza ma ci permette anche di connetterci con la sofferenza degli altri perché la sofferenza è ovunque e viene vissuta da chiunque ed è qui che incontriamo l’umanità comune: tutti soffriamo e tutti desideriamo essere felici e stare bene.
“La mente è la sua propria dimora, e in se stessa può fare un paradiso dell’inferno, e un inferno del paradiso”
John Milton
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Dott.ssa Carla Merola D’Elia