Dott.ssa
Carla Merola D’Elia
Psicologa
Psicoterapeuta
Dott.ssa Carla Merola D’Elia
Psicologa Psicoterapeuta

La tecnologia e la dipendenza da videogiochi

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Indice

Voglio vivere alla velocità di un clic

In una società in cui tutto avviene alla velocità di un clic è sempre più difficile per i ragazzi/giovani adulti di oggi saper rallentare e portare l’attenzione a ciò che accade qui ed ora, con curiosità e gentilezza, ponendo l’accento al proprio vissuto interiore fatto di pensieri, emozioni e sensazioni fisiche.

La tecnologia offre sicuramente numerose opportunità ma in queste si nascondono anche numerosi rischi, quali l’abuso dei device fino alla dipendenza da Internet e alla dipendenza dai videogiochi, si parla di nuove dipendenze comportamentali.
La tecnologia è sicuramente accattivante con i suoi continui stimoli e con la velocità che soddisfa ogni bisogno subito, ma osservando e dialogando con adolescenti e giovani adulti, posso affermare che negli anni con la diffusione sempre più massiva della tecnologia, ho assistito al progredire di una gioventù con una bassa tolleranza alla frustrazione, con difficoltà nel posticipare un proprio bisogno e soprattutto nello stare con il proprio mondo emotivo e questo anche perché i ragazzi sono riempiti da milioni di contenuti al secondo (come gli shorts, i reels, i Bereal, i TikTok, i social …).
Senza parlare dell’insorgenza di uno stato ansioso-depressivo dovuto dal continuo confronto con le vite patinate del web che contribuiscono all’insorgenza di distorsioni cognitive.

La continua fruibilità del web non agevola i ragazzi ad entrare in contatto con se stessi e soprattutto contribuisce gradualmente nel non saper più stare senza l’iperstimolazione tecnologica che li porta facilmente ad annoiarsi nella vita reale in quanto la velocità e la stimolazione sono prerogativa della rete. Degli studi hanno dimostrato che le persone che facilmente vivono la noia utilizzano maggiormente lo smartphone proprio con il fine di non entrare in contatto con quelle emozioni ritenute negative (Regan et al., 2020)

I ragazzi, i videogiochi e la solitudine interiore

“Ieri sono stato tutto il pomeriggio con i miei amici, abbiamo parlato e abbiamo giocato”.

Quando qualche anno fa ascoltai questa frase capii solo con lo svolgersi del colloquio che quel sabato pomeriggio Giorgio (nome fittizio) era rimasto chiuso in casa tra le mura della sua stanza in connessione online con degli estranei che lui considerava amici, con cui giocava abitualmente.
Sempre più ragazzi vivono questa nuova dimensione sociale.

Nella generazione Z si ampliano e si rivoluzionano i concetti classici dello stare insieme e dell’amicizia.

Si è iperconnessi e al contempo spesso soli.

Soli emotivamente facendo esperienza di centinai di conoscenze superficiali.

Tra i maggiori fruitori della tecnologia e soprattutto dei videogiochi, spesso si trovano quei ragazzi con fragilità nella socializzazione, ragazzi che raccontano di quanto sia difficile integrarsi nel gruppo classe o farsi delle amicizie extrascolastiche. Si sentono più efficaci nei videogiochi che nella vita, più capaci di socializzare in rete che non nei contesti di vita vera. Poche se non nessuna amicizia a scuola o fuori scuola e centinaia di “amici” in rete.
Una rete che spesso li intrappola.

Sono ragazzi che faticano a dire quello che pensano perché percepiscono tutti gli occhi puntati su di loro e sentono addosso il giudizio altrui, pensano di dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, facile a critiche o derisioni, pensano che a nessuno interessi ciò che hanno da dire, preferiscono rendersi invisibili, stare in disparte, evitare.

Cosa comporta l’evitamento costante?

In questa fetta di fruitori fragili, evitare oggi e domani e domani ancora le situazioni temute non fa che ingigantirle sempre di più e così facendo questi ragazzi rafforzano maggiormente il loro sentirsi inadeguati socialmente ma poi una volta a casa arriva la soluzione ad ogni problema….
…..così come Alice nel paese delle meraviglie, annoiata, si mette ad inseguire il Bianconiglio infilandosi in una tana verso mondi fantastici e personaggi accattivanti, a loro volta i ragazzi, annoiati, affaticati e frustrati dalla realtà, entrano nei mondi fantastici del digitale e dei giochi online conoscendo persone nuove e così come per magia, tutte le difficoltà sembrano sparire arrivando addirittura a sentirsi capaci di socializzare, peccato che siano nella tana del Bianconiglio.

Due facce della stessa medaglia: iperconnessione e vuoto sociale.
Un vuoto che spesso è causa dell’iperconnessione ma altrettanto spesso diviene conseguenza della stessa.

I videogiochi così come i social ed il web arrivano a diventare in queste circostanze, dei meccanismi per evitare lo stress, i doveri quotidiani, le difficoltà della realtà e per evitare il proprio mondo emotivo, soprattutto quelle emozioni avvertite come negative, come noia, tristezza e solitudine e così per non sentire, per non connettersi a se stessi, si arriva a passare ore sui dispositivi arrivando anche a posporre uscite, igiene personale, studio/lavoro, alimentazione, sonno, tutto sembra divenire in secondo piano.

Per molti la solitudine si combatte sbloccando il telefono ma sbloccando il telefono si corre il rischio di diventare ancora più soli.

La diagnosi di dipendenza da videogiochi

Nel DSM V, nella sezione 3 dedicata alle condizioni che necessitano di approfondimento, si parla di “Internet Gaming Disorder” che comprende sia la dipendenza da videogiochi online che offline.
Secondo il DSM-5, per porre diagnosi, devono essere presenti per un periodo di 12 mesi, almeno 5 su 9 tra i seguenti criteri diagnostici:

  1. Preoccupazione eccessiva riguardo al gioco su Internet;
  2. Sintomi di malessere quando non si gioca o quando si è impossibilitati a giocare (astinenza);
  3. Tolleranza, ovvero necessità di aumentare il tempo impiegato a giocare;
  4. Tentativi numerosi, vani e infruttuosi di ridurre il gioco su Internet;
  5. Perdita di interesse nello svolgimento di attività prima piacevoli;
  6. Uso eccessivo dei giochi nonostante la consapevolezza delle problematiche psicosociali che comporta;
  7. Utilizzo dell’inganno sulla quantità di tempo impiegata a giocare;
  8. Utilizzo del gioco per allontanare uno stato d’animo negativo;
  9. Mettere a rischio relazioni, lavoro e opportunità formative a causa del gioco su Internet.

I sintomi tipici osservabili sono simili ad altri disturbi da dipendenza: eccitazione ed euforia quando sono online, nervosismo e insofferenza con possibili scatti irosi di violenza dietro richiesta di interruzione tecnologica.
Si può quindi arrivare ad assistere a scatti di aggressività causati da astinenza da gioco, ad una crisi dovuta alla deprivazione della condizione di benessere nella quale il ragazzo si sente forte e appagato.
I genitori descrivono comportamenti quali gridare, sbattere porte, lanciare oggetti e rispondere in modo aggressivo verbalmente e a volte anche fisicamente.
Si evidenziano impulsività, bassa autostima nonchè la ricerca di sensazioni forti e livelli maggiori di alessitimia.
Si osservano inoltre sintomi psicofisici che denotano alterazione di comportamenti alimentari (poco e male), stanchezza, perdita di sonno o sonno agitato.

Perché faticano a staccarsi?

I nativi digitali vivono i device, in particolar modo lo smartphone, come un’estensione di sé, della loro vita e della loro identità.
Questo rende difficile individuare il confine tra un comportamento normale e patologico.
Bisogna saper individuare quel punto in cui il piacere diventa un bisogno o un rifugio dalla realtà ma, per quanto spesso lo si pensi, non è il tempo trascorso allo schermo a rendere dipendenti dalla tecnologia ma piuttosto quando la tecnologia diventa il tutto.
La difficoltà vissuta dai ragazzi risiede nella loro incapacità di interrompere un’attività gratificante per un’altra reputata meno divertente e questo anche perché fino ai 25 anni non vi è ancora la piena maturità cerebrale della corteccia prefrontale, deputata al controllo degli impulsi.

Inoltre la stimolazione che consegue all’utilizzo della tecnologia durante il gioco con i videogames porta un rilascio di dopamina, un neurotrasmettitore correlato anche con il potenziamento del comportamento aggressivo, legato al piacere ed alla ricerca di nuove ed intense emozioni. Quindi vi è una forte correlazione tra l’utilizzo massiccio di videogiochi e sovrapproduzione di dopamina, ricerca di nuove emozioni e uno stile alessitimico (incapacità di esprimere le proprie emozioni) di personalità.

Quindi, durante i videogiochi viene rilasciata la dopamina, neurotrasmettitore legato al piacere, con il passare del tempo si ricercherà le situazioni piacevoli dopaminergiche sempre più di continuo. Pian piano, senza un intervento vigile e tempestivo dei genitori, per il ragazzo sarà impossibile rinunciare a questa attività ed andrà a caccia di nuove dosi, ovvero più ore di gioco e andrà ricercando il tipo di gioco sempre più adrenalinico.

Quando preoccuparsi?

E’ importante partire dal presupposto che non è la tecnologia in sé ad essere dannosa ma l’utilizzo improprio che si fa di essa.

Quando si osserva che la tecnologia sta condizionando la vita del proprio figlio inficiando le differenti attività quotidiane significa che il ragazzo vive il gioco non più come svago ma come bisogno senza il quale arriva a stare male.

E’ tempo sicuramente di intervenire.
E’ tempo di domandarsi quali sono i bisogni che i ragazzi cercano di compensare attraverso i device che sono solo la punta dell’iceberg e che ha difficoltà più profonde e strutturali.

Punizioni drastiche e improvvise, come il tipico sequestro di ogni tipo di tecnologia presente in casa, non portano ad una risoluzione del problema ma ad ulteriori litigi e incomprensioni soprattutto perché se realmente c’è una dipendenza è importante trovare strategie graduali di contenimento dell’astinenza.

Cosa fare?

Risulta fondamentale affiancare i ragazzi nella loro difficoltà, iniziando a casa e se questo non basta rivolgendosi ad un professionista.

Primi rimedi:

  • Evitare le critiche relative al loro comportamento e aprirsi al dialogo.
  • Essere da modello, ovvero non mostrarsi continuamente sui social o su internet.
  • Stabilire delle regole concordate e condivise tra genitori e figli, stipulando una sorta di contratto in cui si individua il tempo massimo di esposizione ai device, ricordando loro quanto un uso prolungato vada ad intaccare l’umore, il ritmo sonno-veglia e le capacità attentive e di concentrazione implicate negli apprendimenti scolastici.
    Soprattutto i più piccoli possono essere aiutati con un timer che suona una ventina di minuti prima della fine in modo tale che non si trovino bruscamente ad interrompere l’attività e sappiano di non cominciare un altro livello di gioco.
  • E’ importante che anche il genitore non agisca di impulso staccando la spina o sequestrando i device, anche quando sembra essere l’ultima o l’unica spiaggia, anche quando si sente montare la rabbia in seguito ad un senso di impotenza e questo perchè si deve fungere da esempio con i fatti e non con le parole.
    Lo so, più facile a dirsi che a farsi ma la strada del cambiamento non percorre mai delle strade facili.
  • Creare delle occasioni esperienziali alternative e gratificanti tenendo presenti i loro interessi, da poter fare anche insieme o con gli amici. Questo è fondamentale quando si inizia la riduzione dei device.

Bisogna mostrare loro che oltre il gioco esiste la vita vera!

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