Dott.ssa
Carla Merola D’Elia
Psicologa
Psicoterapeuta
Dott.ssa Carla Merola D’Elia
Psicologa Psicoterapeuta

Sono un bravo genitore?

Sono un bravo genitore psicologo Monza Brianza

Indice

Molti genitori entrano nel mio studio con il quesito “Sono un bravo genitore?”.

A tutti questi genitori rispondo che solo per il fatto di essere: riusciti a varcare la porta dello studio e prima di essere riusciti a comporre il numero telefonico per prendere un appuntamento e prima ancora di aver avuto la forza di cercare uno psicologo che vi aiutasse nel dipanare la tela della vostra genitorialità e ancora prima di essere riusciti a prendere consapevolezza di aver bisogno di un piccolo o grande aiuto, o semplicemente di un confronto che orienti, siete sicuramente genitori attenti che stanno dimostrando di voler bene al proprio figlio e questo vi condurrà ad una nuova esplorazione nel mondo di voi stessi.

Diventare genitori ed esserlo ogni giorno di fronte a tutte le scelte, le azioni, i sacrifici da compiere pone spesso molti quesiti “Sto facendo bene?”, “E’ la cosa giusta?”, “Mi sto comportando come mia madre/padre?” e come mi viene spesso detto “quando sono nato non mi hanno dato il libretto di istruzioni per essere genitore”, si riflette sulla propria genitorialità, esprimendo spesso paure, inadeguatezze e insicurezze relative al proprio ruolo, primo passo per un possibile cambiamento funzionale.

Diventare genitori, ci fa fare un tuffo nel passato e spesso ciò avviene inconsapevolmente, ci pone di fronte all’essere stati figli dei nostri genitori e così, spesso, ascolto affermazioni come “non voglio essere come mia madre o come mio padre”; così dietro alla domanda iniziale che ha condotto allo studio terapeutico, ci sono a volte anche vecchie ferite che è importante risanare anche solo prendendone consapevolezza. Quando, infatti, le emozioni infantili restano represse, si fatica ad ascoltare i bisogni dei figli, si può rischiare di proiettare su di loro i propri bisogni esagerandoli, in quanto insoddisfatti da tempo, oppure all’opposto si può negare ogni bisogno per non rivivere certe sofferenze e nel mezzo numerose sfumature di difficoltà relazionali.

A tutti questi genitori, che per svariati motivi entrano in uno studio terapeutico, mi sento di dire che in questo gesto stanno dimostrando di essere genitori responsabili/rispettosi/amorevoli perché si stanno mettendo in discussione, perché questo comporta un viaggio non sempre facile nell’essere madre, donna e anche figlia e nell’essere padre, uomo e anche figlio.

Quando si intraprende un percorso terapeutico per il proprio figlio/a non saranno solo i bambini ad intraprendere un cammino verso l’esplorazione di se stessi ma anche mamma e papà saranno parte integrante di questo cammino, senza il quale non ci potrebbe essere nessun cambiamento.

Capire quindi come si funziona, ovvero quali sono quei pensieri che scattano in automatico, che sono alla base del proprio modo di interpretare gli eventi, che guidano le interazioni e che conducono a sentirsi in un modo piuttosto che in un altro, diviene indispensabile.

Ricordo ancora un episodio di quando mia figlia era piccolina, aveva sui 4-5 anni ed in un mio attimo di distrazione, prende il pennarello e scarabocchia i fogli su cui stavo lavorando. Orbene, non lo nego, il mio pensiero “automatico”, quello che arriva di getto, senza riflessione è stato “noooo…devo ricominciare tutto da capo, non ho tempo, non mi ubbidisce, le avevo detto di non toccare quei fogli e di usare quelli che avevo dato a lei…” e se quel pensiero avesse guidato la mia azione mi sarei potuta sentire arrabbiata e avrei potuto incominciare ad alzare la voce per rimproverarla con tutto ciò che ne sarebbe conseguito ma si è affacciato un pensiero “alternativo” (su cui ho imparato a lavorare) ed ho pensato “calmati e respira…quando lavoro e non la considero cerca di richiamare la mia attenzione in qualunque modo” e mettendomi in fase di ascolto e non di attacco, le ho chiesto con un tono pacato e non minaccioso “cosa hai fatto?” “ti ho scritto che ti voglio bene e che mi manchi quando sei al lavoro”.

La risposta è stata disarmante nella sua semplicità. Da allora ho spesso riportato questo episodio come espressione di come a volte ciò che si pensa e che guida il nostro pensiero e quindi la nostra azione, in realtà va comprovato e per farlo è importante imparare a fermarsi, imparare a respirare aiuta a ricentrarsi per non reagire impulsivamente e automaticamente agli eventi.

Permettersi di entrare in fase di ascolto con l’altro, ovvero con ciò che lo guida, con i suoi pensieri, le sue emozioni ed i suoi bisogni, può far sì che l’emozione spiacevole provata inizialmente si attenui o scompaia del tutto lasciando il posto anche ad altre emozioni piacevolmente sorprendenti.

Dunque essere più consapevoli di se stessi, significa anche essere più forti nell’accettare le proprie fragilità umane, non è importante ricercare la perfezione.

I genitori devono essere affidabili, presenti e costanti ma non perfetti!

E quando comunque arrivano quei momenti, e arrivano un po’ per tutti vi garantisco, in cui dentro si sente di stare per scoppiare per tutte le incombenze a cui far fronte… fare la spesa… cucinare… fare il bucato… pagare le bollette… fare da servizio uber ai figli e magari anche lavorare… respirate profondamente per tre volte, con l’espirazione più lunga della inspirazione e provate a porvi in fase di ascolto, vostro e suo, e ponetevi le seguenti domande:

  1. “Quale è il suo vissuto?” ovvero cerca di capire quale emozione sta sentendo e conducendo il suo comportamento.
  2. “Che cosa ti dice con il suo modo di fare?” ovvero il bambino con il suo comportamento per voi incomprensibile, esagerato, fuori dalle righe, sconveniente, sta dicendo qualcosa, sta comunicando a modo suo un’emozione o un bisogno nascosto, probabilmente un disagio.
  3. “Come genitore che messaggio desidero trasmettergli?” fate in modo che lui/lei senta accolta e ascoltata la sua emozione, non cercate di sminuirla, sdrammatizzarla o ridicolizzarla, piuttosto fatevi sentire con un caldo abbraccio.
  4. “Perché sto rispondendo in questo modo?” ovvero chiediti da cosa sono dettate le vostre reazioni: dall’educazione, dall’abitudine, dalla stanchezza o da un ragionamento corretto? Cosa sta raccontando di me questa reazione?
  5. “I miei bisogni sono in contrasto con quelli di mio figlio/a?” essere genitori significa anche e spesso accantonare i propri bisogni per andare in contro a quelli del proprio figlio e ovviamente non è semplice.

E…. se senti che anche queste brevi indicazioni non dovessero bastare puoi sempre decidere di chiamarmi o di scrivermi o comunque di affidarti ad uno specialista che possa aiutarti.

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